Cosa resta? (riflessioni)
Questo era Mirto.
Posso presumere che sia nato dagli anni Venti agli anni Trenta del Novecento.
Sua mamma si chiamava Pia, era nata nel 1900 ed è morta nel 1969.
So che Mirto amava i cani e che, come molti della sua generazione, è stato un militare, probabilmente un aviatore.
So che si è sposato, probabilmente più di una vota e che nel 1983 è stato a Sea Word e ha visto i delfini.
La sua vita mi è stato venduta in un grigio pomeriggio dell’ottobre del 2019.
In internet ho trovato un annuncio di vendita e, tra elettrodomestici e mobili demodé, c’era uno scatolone di fotografie e documenti. Dall’ altra parte dello schermo mi ha risposto un signore che si presentava come procuratore generale, che aveva in carico la vendita dei beni derivanti da un decesso al fine di saldare i debiti contratti dal defunto.
Quando incontro il procuratore mi viene raccontata una storia leggermente diversa, pare che sia ancora in vita l’ex consorte del signore deceduto e mi viene detto che non ha avuto figli.
Non indago oltre.
Nelle ore successive ho vissuto a pillole tutta la vita di Mirto.
So che viveva a Venezia ma che parlava una lingua slava. So che è stato innamorato di Miryana e che probabilmente era (o è ancora) polacca. So che ha ricevuto lunghe lettere d’amore che ho letto con tutta la delicatezza che sono riuscita a trovare.
Ho guardato attentamente ogni foto, la ragazza con il viso tumefatto, gli occhi della madre, l’arredo di case che probabilmente ha frequentato.
Ora penso di sapere molto della vita di Mirto, ma non lo conosco e non lo conoscerò mai. Non so dire se fosse un bravo uomo, se fosse irascibile o affabile. So che a metà anni Novanta aveva un Fox terrier, come l’avevo io in quegli stessi anni. Non so se ci mai incrociati, io bambina e lui vecchio, per le calli di Venezia.
So che la sua vita mi è stata venduta. Oltre mille fotografie, molte delle quali hanno parole o indicazioni scritte sul retro, svariate lettere e cartoline ricevute da amici o amanti, diversi santini ed immagini sacre, lettere intestate di quando era un militare, un passaporto americano di Miryana, cartoline di auguri e in fondo una piccola cornice argentata con dentro una piccola foto di una donna con un bambino.
Ho comprato la vita di Mirto perché non si perdesse nel vuoto, per conservare la sua memoria, perché il ricordare è, oltre che ad un atto umano, anche un atto politico. Perché Mirto non è parte della Storia, perché di Mirto non si ricorderà più nessuno, perché di fatto non è stato rilevante. Voglio elevare la sua vita, come rappresentante della vita del singolo essere umano, a soggetto degno di attenzione, degno di essere ricordato e anche celebrato.
La sua vita è stata liquidata, svenduta ed ora noi, che non l’abbiamo mai conosciuto, possiamo solo immaginarla, cercando di collegare i frammenti. Ma il vero significato di quei momenti non lo sapremmo mai, è svanito per sempre.
La sua memoria è stata cancellata ed io ne posso offrire solo il riflesso.
Le immagini, che avevano un significato, che evocavano ricordi, sono divenute merce da vendere per poco ed ora sono parte di quest’opera, in fondo, merce anch’essa. Eppure queste immagini raccontano la vita di un uomo comune, con i suoi momenti drammatici, le situazioni comiche, gli istanti di felicità e raccontare questa vita è forse raccontare la vita di altri uomini che hanno attraversato il Novecento.
Non so quando Mirto è morto, le foto però si fermano alla fine degli anni Novanta.
Non so se sia mai posto la domanda “Cosa resterà della mia vita?”, probabilmente sì, come ognuno di noi, almeno una volta. Per questo una voce sussurra in inglese (lingua che probabilmente conosceva) “quanto costa la tua vita?, cosa resterà della tua vita?”
Non saprò mai la sua risposta. L’ha portata via il vento e il tempo che soffia e scorre implacabile, accompagnando i suoi ricordi.